Quello del traduttore e dell’interprete è notoriamente un’arte complessa e, soprattutto in alcuni ambiti, estremamente delicata. Pensando alla responsabilità che comporta tradurre la magniloquenza di una lingua straniera, basta ricordare l’episodio che fece tremare il mondo. Era il 18 novembre del 1956, in piena Guerra Fredda.
In quella data il presidente sovietico Nikita Chruščёv, rivolgendosi alle delegazioni occidentali in visita all’ambasciata polacca a Mosca, dichiarò tramite il proprio interprete personale che “per quanto riguarda gli Stati capitalisti, non dipende da voi se noi esistiamo o no. […] Che vi piaccia o no, la storia è dalla nostra parte. Vi seppelliremo!” (che fu tradotto in inglese con we will bury you!). Non esattamente un caloroso benvenuto.
Al risuonare di tali parole, interpretate dai presenti come una sorta di minaccia nucleare nei confronti dell’intero occidente, le delegazioni straniere abbandonarono immediatamente l’ambasciata e le reazioni politiche e diplomatiche furono immediate portando alle stelle la tensione politica e militare tra i due blocchi.
Tuttavia, la tensione diplomatica, scioltasi solo molto tempo dopo, fu causata in primis da una mera inaccuratezza nella traduzione del discorso del presidente sovietico da parte dell’interprete, probabilmente frutto di un’interferenza linguistica e culturale tra due mondi all’epoca contrapposti. Il minaccioso “vi seppelliremo” sovietico risultò successivamente qualcosa di infinitamente più “morbido”, più simile ad un “vi sopravviveremo”, “vivremo più a lungo di voi”, cosa ben diversa dal lapidario e minaccioso un “vi manderemo sottoterra!”.
Quella del presidente sovietico fu una metafora, tradotta un po’ maldestramente seppur in buona fede, per far intendere agli ambasciatori che il sistema sovietico (il “noi” dell’oratore) avrebbe preso assistito al collasso storico del (“vostro”, degli astanti) sistema capitalista. Insomma un’ambiziosa (e probabilmente fin troppo prematura) dichiarazione di presunta supremazia del un modello sociale, politico ed economico sovietico su quello occidentale.
Cosa non ha funzionato quel giorno? Probabilmente la migliore spiegazione e conclusione che si può trarre da questo “incidente di traduzione” non è di natura tecnica o linguistica, ma puramente culturale e metalinguistica.
Abbiamo già affrontato questa questione che ci sta molto a cuore qui in precedenza [1] [2] , ma a nostro avviso la spiegazione più lucida ed immediata a tal riguardo non è stata fornita da un “addetto ai lavori”, un interprete o da un semiologo, ma bensì da un giovane informatico di nome Matin Key. Il ricercatore, lavorando allo sviluppo di programmi per la traduzione automatica, già vent’anni fa aveva intuito che il problema di fondo di qualsiasi traduzione (compresa quella automatica alla quale stava lavorando) non era linguistico o di “corrispondenze di termini” dichiarando in tutta franchezza che “per comprendere una frase, la tua conoscenza linguistica è una questione secondaria. La tua conoscenza del mondo è decisamente più importante” e, ci permettiamo di aggiungere, la tua conoscenza del mondo non ti seppellirà mai.
Antonio Salvati