L’aumento del fenomeno migratorio negli ultimi anni ha gradualmente trasformato l’Italia in una nazione sempre più multiculturale simile, in tal senso, alla maggior parte dei paesi europei. A seguito di questo cambiamento demografico, ed in risposta alla necessità di garantire l’accesso ai servizi pubblici e di promuovere politiche di integrazione nella società ospitante, a favore degli immigranti e di chi parla una lingua straniera, negli ultimi due decenni nasce in Italia la professione di “mediazione linguistica e culturale”.
In questo contesto, per “mediazione” si intende un’attività proattiva che si distingue dalla mera traduzione ed interpretazione: mira ad aggirare le barriere culturali e linguistiche che impediscono agli immigrati di integrarsi gradualmente nella società italiana. Il “mediatore” quindi facilita il processo di comunicazione tra coloro che parlano la lingua italiana e coloro che non la parlano, impedendo il sorgere di eventuali conflitti ed incomprensioni derivanti dalla mancanza di conoscenza delle istituzioni e della cultura italiana (e viceversa).
In pratica, i compiti specifici del mediatore culturale oggi includono: aiuto nelle gestione di pratiche burocratiche, supporto nella formulazione delle richieste di asilo e protezione internazionale, facilitazione nell’interazione con altri bambini o discenti nelle scuole ecc. In tal senso, il mediatore linguistico e culturale svolge un ruolo fondamentale in diversi ambiti quali l’istruzione, la salute, i servizi sociali e in molti altri settori come il volontariato offrendo servizi di assistenza e supporto linguistico e sociale (cfr. la mediazione linguistica e culturale).
In conclusione, il campo semantico del termine italiano “mediazione linguistica e culturale” sembra sovrapporsi per alcuni versi all’anglosassone “Community Interpreting” (interpretariato di comunità). Tuttavia, il ruolo professionale del “mediatore culturale” in Italia, soprattutto nelle sue implicazioni pratiche, necessita ancora di un’ulteriore delimitazione operativa del proprio ruolo e di maggiore chiarezza nella sua stessa definizione. Inoltre, sarebbe quantomeno opportuno ridurre il divario esistente tra le implicazioni pratiche del ruolo del “mediatore linguistico” e gli interessanti sviluppi della (ancor più recente) “mediazione linguistica” intesa come disciplina accademica.
Antonio Salvati