Dal suo punto d’osservazione privilegiato di autore tradotto in varie lingue, redattore di traduzioni altrui nonché di traduttore in prima persona con il suo Dire quasi la stessa cosa (2003) Umberto Eco, recentemente scomparso, propone un’articolata selezione dei propri saggi e conferenze tenute sui temi della traduzione letteraria.
Con dovizia di particolari ed esempi di traduzione tratti dalla narrativa e della poesia in lingua inglese, francese, italiana e tedesca, l’intellettuale e medievalista racconta nelle quasi quattrocento pagine che compongono il suo saggio, la propria esperienza di autore tradotto e di traduttore (si pensi a Sylvie di Nerval), affrontando i principali nodi e problemi teorici e pratici dei processi di traduzione letteraria.
L’opera di traduzione di un lavoro letterario è, secondo l’illustre filologo e semiologo, parte di un ben più ampio “processo di negoziazione” attraverso il quale, nella migliore delle ipotesi, il traduttore esperto riesce a comunicare “quasi la stessa cosa”, ovvero a veicolare e presentare al lettore nel miglior modo possibile il “mondo letterario” dello scrittore (con i tutti i limiti posti, tuttavia, dallo stesso “orizzonte” storico e sociale del traduttore). Fondamentale è quindi la ricerca del “cosa” o del “nucleo della cosa” oggetto della traduzione che impone al traduttore una scelta mai pacifica tra “fedeltà” (la traduzione “in senso stretto”) e il rifacimento creativo.
Prima di tuffarsi in un oceano di casi ed esempi pratici di traduzione, l’autore de Il nome della rosa riassume il suo pensiero sui processi di traduzione in termini estremamente onesti e pragmatici “ho posto queste mie riflessioni sul tradurre all’insegna di un quasi. Per ben che vada, traducendo si dice quasi la stessa cosa. Il problema del quasi diventa certamente centrale nella traduzione poetica, sino al limite della ricreazione così geniale che dal quasi si passa ad una cosa assolutamente altra,un’altra cosa che con l’originale ha solo un debito, vorrei dire, morale. Però è interessante vedere dove talora il traduttore, sapendo che può dire solo un quasi, va a cercare il nucleo della cosa che vuole rendere (sia pur quasi) ad ogni costo ”.
Un libro certamente non “facile”, come ci si potrebbe del resto facilmente aspettare da un intellettuale di grande levatura e di difficile “catalogazione” come Umberto Eco. Dire quasi la stessa cosa è un saggio complesso e articolato su più livelli, ma che ruota imprescindibilmente intorno al proprio nucleo “pratico”, figlio dell’esperienza letteraria, senza diluirsi in eccessive analisi teoriche e filosofiche che, del resto, ben poco aggiungerebbero alla già immensa ricchezza e profondità del suo contributo all’analisi dei processi di traduzione letteraria e poetica.
Antonio Salvati